Il ticchettio della macchina da scrivere, per Giorgio Manganelli, nasce «dai capricciosi amori di un cembalo estroso e di una mite mitragliatrice giocattolo». Non è un caso, dunque, che nei suoi "Improvvisi" un’incessante mutevolezza di melodie e di fraseggi (ossia di temi e di linguaggi) si accompagni a una tonalità ironico-umoristica percorsa da nere venature malinconiche.
Gli spunti (le «arie» su cui improvvisare) sono spesso offerti da un minimo fatto di cronaca, una polemica frivola, un provvedimento ministeriale bizzarro. La notizia sulle rivendicazioni sindacali dei sagrestani, per esempio, consente a Manganelli di elogiare l’operato di queste figure avvolte di «modesta, innocua magia»; l’attacco troppo facile della scienza alla parapsicologia lo spinge a una difesa paradossale («basta forse che una cosa non esista, perché sia impossibile frequentarla?»); e il ritorno domenicale delle targhe alterne gli ispira una pagina memorabile su chi legge Dostoevskij dopo vent’anni o si spezza una gamba per sfruttare la rapidità delle ambulanze nella città deserta. In.
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Tuesday, December 11, 2018
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